«Dedo pour les amis, ravi de faire votre connaissance»
“Solomon R. Guggenheim Museum” by Moody Man is licensed under CC BY-NC 2.0
Incursioni contemporanee tentano l’indagine e l’insolente ricollocamento all’interno di abusate diagnosi. Svilente l’immagine di “donna all’ombra di Modigliani”; deprezzante quanto inesatta. Jeanne Hébuterne (Meaux, 6 aprile 1898 – Parigi, 26 gennaio 1920) è sulla vetta più alta come la sovrana assoluta della vita e dell’arte di Amedeo Modigliani. Alcun vano referto di dipendenza affettiva ad abbattere l’esistenza di una giovane donna consapevole sino alla morte. Cosciente che l’amore per un’altra creatura valica persino la vita. Donna tra le donne, di tragica bellezza, scrive le pagine di un romanzo di fervente pulsione. Danza funesta, debordante nel sentimento. Tre anni legano i destini di questi due esponenti dell’arte suprema, quella che non contempla argini di salvezza; tre anni di creazione e dispersione; tre anni di colore e distruzione. Perché così è l’amore, nel diletto e nella croce, una vampa di romantica disperazione.
Noix de coco, appellativo introdotto da Léonard Tsuguharu Foujita, pittore giapponese per il quale Jeanne fu modella e compagna, indica precisamente la sua bellezza: una noce di cocco a suggerire il contrasto tra il biancore del volto e il bruno lucente dei suoi capelli. “Noix de coco” è il trionfo definitivo della volontà di amare sopra ogni cosa. Una mareggiata dentro un’esile figura, un uragano pronto a scatenarsi davanti alla prima contrarietà invisa all’amore. Nulla può impedire a Jeanne di legare per sempre la sua anima a quella di Dedo.
Jeanne è l’affermazione dell’amore sulla vita e oltre la morte, l’urto atavico sul cosmo tutto, l’opera d’arte totale seguita dall’elemento umano. Jeanne è la madre, l’amica, l’amante e il femmineo. Jeanne è l’estensione vitale e infine mortale di Modì. Jeanne è la linfa di Modigliani. Jeanne è la borghese che rinuncia alla borghesia, la figlia che rinuncia ai genitori, la madre che rinuncia ai figli. Jeanne è l’immolazione estrema in coscienza di sacrificio.
Jeanne figura la sola possibilità di lenire il dolore di Modigliani; tribolo che accoglie nel grembo per farlo proprio. Perché Modì è suo: sua l’anima, sua l’arte, sua la vita, sua la morte. Parigi è la grondaia che vigila sulle vite disgraziate dei due amanti, una ville fiaccata dalla guerra che poco riesce sulla vita. Una città dalla quale si fugge solo per potervi tornare. Un distacco necessario al ricongiungimento. Nondimeno trattiene il calore di Montmartre, le lunghe notti trascorse a bere sino al delirio, il tempo sottratto al presente nel discorrere di quegli ideali soffiati via dal conflitto. E dunque tutto si sposta a Nizza; Modigliani e Jeanne vivono il rimando dentro una volata: passi destinati all’appassire nell’intelaiatura della Promenade des Anglais.
Modì, che sin da bambino, convive con una salute cagionevole, è altresì logorato dall’abuso di alcol e droga. Straviziato e malato, sovente si fa violento per poi tornare nelle pieghe del volto di Jeanne e farsi nuovamente amante innamorato. La donna, a fatica, ospita i suoi vizi, trattiene la gelosia, ingerendo quantità smodate di fiele e amore. Perché Jeanne è madre di un’altra Jeanne, la creatura nata dalla loro unione. E a Nizza, lontano da Parigi, porta in grembo un altro figlio.
In preda a deliri di autodistruzione, Modigliani ritrae altre donne. Elvira La Quiche disegna il legame di una vita: l’oscillazione perpetua tra la prostituta e l’assenzio. Una galleria di figure femminili popola la sua arte; incontri occasionali o assidui, sotto lo sguardo di una città stanca. Parigi assediata tratteggia l’esatta riproduzione dell’anima martoriata dell’artista. Ogni angolo è lo squarcio sull’abisso che lo abita. Voragine dentro la quale Jeanne si trova al buio e in perpetua perlustrazione. In ultimo, la padronanza esibita da Modigliani, altro non è che l’esatta immagine della fuga: la segreta delle sue numerose fragilità.
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Jeanne non vive all’ombra di Modì. Jeanne è la figura che sospende la parte oscura, facendosi luce anche nell’angolo più disgraziato della loro stamberga. E lo fa alla maniera dei grandi: in solitudine. Sul volto una malinconia che la rende tragicamente bellissima. Così è l’arte, così è la bellezza: tragica.
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Dal 1918, la femme Coco, diviene la modella più ritratta dal pittore: lei in attesa, lei madre, lei finalmente donna. Le tele mostrano la dichiarazione di un’arte che parte dalla vita, versa sogni cocenti e torna nuovamente all’accadere di un sentimento pieno.
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Il quinto piano in Rue Amyot a Pargi descrive l’ultima tela di Jeanne nel volo definitivo dentro il ventre oscuro dell’arte. Jeanne poteva sopportare tutto di Modì, ma non la sua fine dentro la quale si ricongiunge come in un’opera di Schiele: tragicamente meravigliosa.
Estratti da Anime Inquiete – 23 storie per mancare la vittoria