Sul monte Eliconia: Jeanne, Gala e Marta

Heliconia Wagneriana

Da mito, la musa prende a vivere dentro l’opera d’arte: sovrumanità indissolubilmente legata all’artista. È la presa invisibile che brandisce il pennello del pittore, l’inchiostro impercettibile che sospinge la penna dello scrittore. La spinta lavica dove il maschio artistico si fa madre, amante, amica in un imbracciare la femminilità che solo una dea ispiratrice può generare.

È il profumo dell’Heliconia a farsi sentinella di ogni opera d’arte. Il nome del fiore giunge direttamente dal monte Eliconia, luogo reso illustre dalla mitologia greca sulle muse: nove figure, figlie di Zeus e Mnemosine, denominate Eliconie nella “Teogonia” di Esiodo. Anticamente avvolte nell’arte della musica, guadagnano solennità nel tempo come custodi del grande gesto artistico.  Attraversano lo spazio e il tempo in un perpetuo mutamento che, da seducente scrigno di arte, si fa volta d’ispirazione per numerosi artisti. Non vuoti manichini da ritrarre, ma femmine di Zefiro che nel soffio fecondano non una, ma molteplici Flora botticelliane in figure maschili. La musa, da mito prende vita dentro l’opera d’arte: sovrumanità indissolubilmente legata all’artista. È la presa invisibile che brandisce il pennello del pittore, l’inchiostro impercettibile che sospinge la penna dello scrittore. La spinta lavica dove il maschio artistico si fa madre, amante, amica in un imbracciare la femminilità che solo una dea ispiratrice può generare.

Calliope, Clio, Urania e le altre muse riemergono nel ‘900 nelle monumentali figure di Jeanne Hèbuterne, Elena Ivanovna Diakonova (Gala) e Marta Marzotto. Jeanne Hèbuterne interpretta i molteplici volti della disgraziata vita del pittore Amedeo Modigliani. Con l’appellativo “noix de coco” per i lunghi capelli e un volto che tratteggia la perfezione, Jeanne rappresenta la creatura che s’immola all’arte; una vocazione alla morte nella morsa di un mandato artistico tutto di Modì. Modì che è altresì maudit e, ancora, l’incontro con la musa Jeanne rappresenta l’esuberanza amorosa in assenza di argini. Noix de coco è l’empito creativo, la madre, l’amante e colei che nella morte dell’amato trova l’unico accomodamento alla vita attraverso la fine. Amedeo Modigliani muore il 24 gennaio 1920 di meningite tubercolotica. Jeanne Hèbuterne , al nono mese di gravidanza, rifiuta un’esistenza priva di Modì, lanciandosi da una finestra. Un volo che è feroce distacco e struggente ricongiungimento in quell’altrove che solo l’artista riesce a intende. Il pittore e la musa, la morte e la vita, l’eccesso e la quiete, ricongiunti in un’infinita e infausta opera d’arte. Per volere dei familiari della Hébuterne, del tutto contrari alla relazione vissuta con Modigliani, Jeanne viene tumulata nel museo parigino di Bagneaux. Solo nel 1930, i resti vengono posti accanto al suo “Dedo” nel cimitero di Père Lachaise. La commovente passione di Jeanne per Modì è tutta dentro la solennità di un epitaffio:

Devota compagna sino all’estremo sacrificio

E se il profumo dell’Heliconia agita la Parigi dei primi del ‘900, il suo elisir cosparge l’esistenza della musa delle muse: Gala Éluard Dalí. Divina del pittore dei pittori, Salvador Dalí, Gala è dapprima refolo illuminante per il poeta Paul Éluard e in seguito si fa fulgida musa per il re del Surrealismo. Salvador Dalí, tutto genio, follia e fragilità, si raccoglie in una resa: l’evidenza di un amore assoluto. Assolutismo passionale che si farà antidoto magico di ogni male:

Poteva essere la mia Gradiva (colei che avanza), la mia vittoria, la mia donna. Ma perché questo fosse possibile, bisognava che mi guarisse. E lei mi guarì, grazie alla potenza indomabile e insondabile del suo amore: la profondità di pensiero e la destrezza pratica di questo amore surclassarono i più ambiziosi metodi psicanalitici.

Gala è la musa, la solidità, lo slancio e l’apertura; la devozione del pittore spagnolo è tale da rappresentare una forma di insaziabile dipendenza affettiva. Alla morte di Gala, avvenuta nel 1982, l’afflato ispirato dell’artista, la seguirà nella sua fine, dissolvendosi in lei e con lei.

Ancora l’effluvio di Heliconia si allunga nell’aura di un’altra figura mitologica da poco scomparsa: Marta Marzotto. L’appuntamento incandescente con il pittore siciliano Renato Guttuso, accade inevitabilmente in una giornata di canicola romana; estate che nel clima e nei colori si farà metafora della loro passione. Lei modella sinuosa, da Vacondio si fa contessa Marzotto per rinascere in una Talia musa del Thallein, del fiore. E come bocciolo si schiude e scorre nell’opera dell’artista impegnato: il comunista e la contessa. Un amore rovente e contrastato, epifania del batticuore carnale fuori da qualsiasi sbozzatura.

All’interno di un’affermazione particolarmente abusata, attribuita a Virginia Woolf e riferita al detto latino Dotata animi mulier virum regit (una donna dotata di coraggio sostiene il marito), ossia Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna, si azzarda una rivisitazione del caso: Dietro un grande artista, c’è sempre una grande musa. Ispirazione fatta forma femminile, la figura mitologica della musa sfugge la fissità della leggenda per farsi vita vibrante nella creazione artistica. Jeanne, Gala e Marta non esprimono l’oggetto passivo dell’esecuzione artistica quanto il soggetto attivo del festeggiamento creativo. La dea ispiratrice, nell’avviarsi a quel percorso infinito, costeggia generi ed epoche diverse. Indugia nella letteratura, si fissa in un ascolto musicale per accomodarsi nel buio di un cinematografo. Elizabeth Craig per Louis-Ferdinand Céline, Pamela Courson per Jim Morrison o ancora Charlotte Gainsbourg per Lars von Trier, sono solo il primo passetto verso la volta infinita occupata dal profumo dell’Heliconia. Ma questo è un altro capitolo, bellissimo e inesauribile.

Alle muse!

Jeanne Hébuterne – Le souffle de Modì

«Dedo pour les amis, ravi de faire votre connaissance»

Solomon R. Guggenheim Museum“Solomon R. Guggenheim Museum” by Moody Man is licensed under CC BY-NC 2.0

Incursioni contemporanee tentano l’indagine e l’insolente ricollocamento all’interno di abusate diagnosi. Svilente l’immagine di “donna all’ombra di Modigliani”; deprezzante quanto inesatta. Jeanne Hébuterne (Meaux, 6 aprile 1898 – Parigi, 26 gennaio 1920) è sulla vetta più alta come la sovrana assoluta della vita e dell’arte di Amedeo Modigliani. Alcun vano referto di dipendenza affettiva ad abbattere l’esistenza di una giovane donna consapevole sino alla morte. Cosciente che l’amore per un’altra creatura valica persino la vita. Donna tra le donne, di tragica bellezza, scrive le pagine di un romanzo di fervente pulsione. Danza funesta, debordante nel sentimento. Tre anni legano i destini di questi due esponenti dell’arte suprema, quella che non contempla argini di salvezza; tre anni di creazione e dispersione; tre anni di colore e distruzione. Perché così è l’amore, nel diletto e nella croce, una vampa di romantica disperazione.

Noix de coco, appellativo introdotto da Léonard Tsuguharu Foujita, pittore giapponese per il quale Jeanne fu modella e compagna, indica precisamente la sua bellezza: una noce di cocco a suggerire il contrasto tra il biancore del volto e il bruno lucente dei suoi capelli. “Noix de coco” è il trionfo definitivo della volontà di amare sopra ogni cosa. Una mareggiata dentro un’esile figura, un uragano pronto a scatenarsi davanti alla prima contrarietà invisa all’amore. Nulla può impedire a Jeanne di legare per sempre la sua anima a quella di Dedo.

Jeanne è l’affermazione dell’amore sulla vita e oltre la morte, l’urto atavico sul cosmo tutto, l’opera d’arte totale seguita dall’elemento umano. Jeanne è la madre, l’amica, l’amante e il femmineo. Jeanne è l’estensione vitale e infine mortale di Modì. Jeanne è la linfa di Modigliani. Jeanne è la borghese che rinuncia alla borghesia, la figlia che rinuncia ai genitori, la madre che rinuncia ai figli. Jeanne è l’immolazione estrema in coscienza di sacrificio.

Jeanne figura la sola possibilità di lenire il dolore di Modigliani; tribolo che accoglie nel grembo per farlo proprio. Perché Modì è suo: sua l’anima, sua l’arte, sua la vita, sua la morte. Parigi è la grondaia che vigila sulle vite disgraziate dei due amanti, una ville fiaccata dalla guerra che poco riesce sulla vita. Una città dalla quale si fugge solo per potervi tornare. Un distacco necessario al ricongiungimento. Nondimeno trattiene il calore di Montmartre, le lunghe notti trascorse a bere sino al delirio, il tempo sottratto al presente nel discorrere di quegli ideali soffiati via dal conflitto. E dunque tutto si sposta a Nizza; Modigliani e Jeanne vivono il rimando dentro una volata: passi destinati all’appassire nell’intelaiatura della Promenade des Anglais.

Modì, che sin da bambino, convive con una salute cagionevole, è altresì logorato dall’abuso di alcol e droga. Straviziato e malato, sovente si fa violento per poi tornare nelle pieghe del volto di Jeanne e farsi nuovamente amante innamorato. La donna, a fatica, ospita i suoi vizi, trattiene la gelosia, ingerendo quantità smodate di fiele e amore. Perché Jeanne è madre di un’altra Jeanne, la creatura nata dalla loro unione. E a Nizza, lontano da Parigi, porta in grembo un altro figlio.

In preda a deliri di autodistruzione, Modigliani ritrae altre donne. Elvira La Quiche disegna il legame di una vita: l’oscillazione perpetua tra la prostituta e l’assenzio. Una galleria di figure femminili popola la sua arte; incontri occasionali o assidui, sotto lo sguardo di una città stanca. Parigi assediata tratteggia l’esatta riproduzione dell’anima martoriata dell’artista. Ogni angolo è lo squarcio sull’abisso che lo abita. Voragine dentro la quale Jeanne si trova al buio e in perpetua perlustrazione. In ultimo, la padronanza esibita da Modigliani, altro non è che l’esatta immagine della fuga: la segreta delle sue numerose fragilità.

***

Jeanne non vive all’ombra di Modì. Jeanne è la figura che sospende la parte oscura, facendosi luce anche nell’angolo più disgraziato della loro stamberga. E lo fa alla maniera dei grandi: in solitudine. Sul volto una malinconia che la rende tragicamente bellissima. Così è l’arte, così è la bellezza: tragica.

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Dal 1918, la femme Coco, diviene la modella più ritratta dal pittore: lei in attesa, lei madre, lei finalmente donna. Le tele mostrano la dichiarazione di un’arte che parte dalla vita, versa sogni cocenti e torna nuovamente all’accadere di un sentimento pieno.

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Il quinto piano in Rue Amyot a Pargi descrive l’ultima tela di Jeanne nel volo definitivo dentro il ventre oscuro dell’arte. Jeanne poteva sopportare tutto di Modì, ma non la sua fine dentro la quale si ricongiunge come in un’opera di Schiele: tragicamente meravigliosa.

Estratti da Anime Inquiete – 23 storie per mancare la vittoria

Muse

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“IMG_5687W Renato Guttuso. 1911-1987” by jean louis mazieres is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

  • Da figura mitologica, la musa prende a vivere dentro l’opera pittorica, nel romanzo e nella poesia come imperativo sine qua non: virtù, prodigio o necessità indissolubilmente legata all’artista. È la presa invisibile che brandisce il pennello del pittore, l’inchiostro impercettibile che sospinge la penna dello scrittore. La spinta lavica dove il maschio artistico si fa madre, amante, amica in un imbracciare la femminilità che solo una dea ispiratrice può generare.

È il profumo dell’Heliconia a farsi sentinella di ogni opera d’arte. Il nome del fiore giunge direttamente dal monte Eliconia, luogo reso illustre dalla mitologia greca sulle muse. Nove figure, figlie di Zeus e Mnemosine, denominate Eliconie nella Teogonia di Esiodo. Anticamente avvolte nell’arte della musica, guadagnano imponenza nel tempo come custodi di ciascun fiotto di pensiero. Attraversano lo spazio/tempo in un divenire perpetuo che, da seducenti scrigni di arte, si fanno lucenti volte d’ispirazione per numerosi artisti. Non vuote sagomature da ritrarre, ma femmine di Zefiro che nel soffio fecondano nel maschio non una, ma molteplici Flora botticelliane. La musa, da mito prende vita nell’opera pittorica, nel romanzo e nella poesia come imperativo sine qua non: virtù, prodigio o necessità indissolubilmente legata all’artista. È la presa invisibile che brandisce il pennello del pittore, l’inchiostro impercettibile che sospinge la penna dello scrittore. La spinta lavica dove il maschio artistico si fa madre, amante, amica in un imbracciare la femminilità che solo una dea ispiratrice può generare.

Calliope, Clio, Urania e le restanti muse riemergono nel ‘900 nelle monumentali figure di Jeanne Hèbuterne, Elena Ivanovna Diakonova (Gala) e Marta Marzotto. Jeanne Hèbuterne figura i molteplici volti della disgraziata vita del pittore Amedeo Modigliani. Con l’appellativo “noix de coco” per i lunghi capelli e un volto che tratteggia la perfezione, Jeanne rappresenta la creatura che s’immola per l’arte nella vita e dentro la morte in una missione artistica tutta di Modì. Modì che è altresì maudit e ancora l’incontro con la musa Jeanne rappresenta l’esuberanza amorosa in assenza di argini. Noix de coco è l’empito creativo, la madre, l’amante e colei che nella fine dell’amato trova l’unica via di sopravvivenza nel darsi la morte. Amedeo Modigliani muore il 24 gennaio 1920 di meningite tubercolotica. Jeanne Hèbuterne , al nono mese di gravidanza, abbandona l’esistenza privata di Modì, lanciandosi da una finestra. Un volo che è feroce distacco e struggente ricongiungimento in quell’altrove che solo l’artista insanamente intende. Il pittore e la musa, la morte e la vita, l’eccesso e la quiete ricongiunti in un’infinita e infausta opera d’arte. Per volere dei familiari della Hébuterne, del tutto maldisposti alla relazione vissuta con Modigliani, la dea dei suoi dipinti viene tumulata nel museo parigino di Bagneaux. Solo nel 1930, i resti vengono posti accanto al suo “Dedo” nel cimitero di Père Lachaise. La commovente passione di Jeanne per Modì è tutta dentro la solennità di un epitaffio:

Devota compagna sino all’estremo sacrificio

E se il profumo dell’Heliconia agita la Parigi dei primi del ‘900, il suo elisir cosparge l’esistenza della musa delle muse: Gala Éluard Dalí. Divina del pittore dei pittori, Salvador Dalí, Gala è dapprima refolo illuminante per il poeta Paul Éluard e in seguito si fa fulgida musa per il re del surrealismo. Salvador Dalí, tutto genio, follia e fragilità si raccoglie in una resa: l’evidenza di un amore assoluto. Assolutismo passionale che si farà antidoto magico di ogni male:

Poteva essere la mia Gradiva (colei che avanza), la mia vittoria, la mia donna. Ma perché questo fosse possibile, bisognava che mi guarisse. E lei mi guarì, grazie alla potenza indomabile e insondabile del suo amore: la profondità di pensiero e la destrezza pratica di questo amore surclassarono i più ambiziosi metodi psicanalitici.

Gala è la musa, la solidità, lo slancio e l’apertura che si faranno meraviglioso balzo in tutto il surrealismo nella grandiosa opera di Dalí. La devozione del pittore spagnolo è tale da rappresentare una forma di insaziabile dipendenza affettiva. Alla morte di Gala, avvenuta nel 1982, l’afflato ispirato dell’artista, la seguirà nella sua fine, dissolvendosi in lei e con lei. Ancora l’effluvio di Heliconia si allunga nell’aura di un’altra figura mitologica da poco scomparsa: Marta Marzotto. L’appuntamento incandescente con il pittore siciliano Renato Guttuso, accade inevitabilmente in una giornata di canicola romana; estate che nel clima e nei colori si farà metafora della loro passione. Lei modella sinuosa, da Vacondio si fa contessa Marzotto per rinascere in una Talia, musa del Thallein, del fiore. E come bocciolo si schiude e scorre nell’opera dell’artista impegnato: il comunista e la contessa. Un amore rovente e contrastato, epifania del batticuore carnale fuori da qualsiasi avveduta sbozzatura.

All’interno di un’affermazione particolarmente abusata, attribuita a Virginia Woolf e riferita al detto latino Dotata animi mulier virum regit (una donna dotata di coraggio sostiene il marito), ossia Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna, si azzarda una rivisitazione del caso: Dietro un grande artista, c’è sempre una grande musa. Ispirazione fatta forma femminile, la figura mitologica della musa sfugge la fissità della leggenda per farsi vita pulsante nella creazione artistica. Jeanne, Gala e Marta non figurano come l’oggetto passivo dell’esecuzione artistica quanto soggetto attivo del festeggiamento creativo. La dea ispiratrice, nell’avviarsi a quel percorso infinito, costeggia generi ed epoche diverse. Indugia nella letteratura, si fissa in un ascolto musicale per accomodarsi nel buio di un cinematografo. Elizabeth Craig per Louis-Ferdinand Céline, Pamela Courson per Jim Morrison o ancora Charlotte Gainsbourg per Lars von Trier, sono solo il primo passetto verso la volta infinita occupata dal profumo dell’Heliconia. Ma questo è un altro capitolo, bellissimo e inesauribile.

Alle muse!

  • da L’Intellettuale Dissidente, 14 settembre 2016