Libri

Il cinema delle stanze vuote

Isabella Cesarini

Luigi Iannone

Prefazione di Donato Novellini

Questo volume fonda le proprie trame sulla “malinconia” e dentro lo sguardo che taluni capolavori della cinematografia mondiale le rivolgono. Grazie invero a una forza straordinaria, il cinema riesce a indurci a una riflessione fulminea. Un solo sguardo, un dialogo immortalato dalla macchina da presa, lunghe sequenze su un ambiente naturale, un silenzio tra due amanti oppure una musica appena avvertita possono regalare rapidità di comprensione e al contempo complessità di riverberi e di contenuti. Pur non trascurando talune correlazioni filosofiche e letterarie (Drieu La Rochelle, Emil Cioran o Carmelo Bene), il libro si compone di tre capitoli che entrano nello specifico di alcuni film e nelle pieghe di importanti registi quali Pietro Germi, Louis Malle, Federico Fellini, Ingmar Bergman, Andrej Tarkovskij, Lars von Trier, Wes Anderson e Sean Penn. Ne vengono rimarcate connessioni, diversità stilistiche e di linguaggio, a dimostrazione che all’interno di un’opera cinematografica la mestizia dell’esistenza si possa dispiegare in mille complementari fotogrammi.


ANIME INQUIETE – 23 storie per mancare la vittoria

Isabella Cesarini

Prefazione Ritratti di parola di Pasquale Panella

 

Anime Inquiete di Isabella Cesarini (Haze). Un arcipelago di creature sul filo. Turbate e perturbanti. Da Diane Arbus a Bruno Lauzi, da Leonor Fini ad Ágota Kristóf, Isabella Cesarini attraversa un giardino di piante rare e dolenti. Con un approccio insolito, che scavalca la critica o il semplice ritratto, ci offre una visione poetica e raffinatissima del loro modo di scalfirsi nel mondo, di incarnare il travaglio e trasformarlo in arte.

(Cristiana Saporito)


 

 

Recensioni

Da Il Giornale (20 agosto 2017)

La Malinconia? È una bella storia (per i registi giusti)

Quando il cinema si occupa di un sentimento come la malinconia rischia di annoiare. Io spettatore, costretto a subire le introspezioni di autori che trattano la mestizia dell’esistenza con toni lirici o silenzi interminabili. Il merito di Isabella Cesarini e Luigi Iannone, in questo libro sorprendente, è riabilitare (anzi: far amare) agli occhi del grande pubblico registi non certo facili come, ad esempio, il pessimista cosmico Lars von Trier. Un libro colto, ricco di spunti e di riflessioni anche per chi cinefilo non è.

Maurizio Acerbi



 


Nietzsche al cinema

Da Il GiornaleOFF (20 settembre 2017)

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Pietro Germi e Lars von Trier sono l’alfa e l’omega de Il cinema delle stanze vuote di Isabella Cesarini e Luigi Iannone (La scuola di Pitagora, pp. 90, € 11). Non tanto perché siano i registi semanticamente più importanti tra quelli analizzati dal critico cinematografico e dal giornalista e saggista de Il Giornale. E neanche perché Germi apre il libro con il saggio della Cesarini, mentre von Trier lo chiude con Melancholia in quello di Iannone. Infatti, se il Germi dei film meno commerciali, come L’uomo di paglia, socchiude la porta sulla “mestizia” che è “sempre dentro lo sguardo chinato alla prepotenza del quotidiano detto dalla nube della non conoscenza esalata dalle sigarette del protagonista, von Trier con quel titolo emblematico dice chiaramente di cosa si tratta qui: della malinconia.

Torna in queste pagine l’antesignana dell’odierna depressione, denigrata con il marchio infamante della malattia impostole da una società egra di imperativi salutisti: è il sottile male di vivere di chi non si piega, di chi resta anarchico, ostinandosi a essere un fiore bianco in un aiola rossa. La malinconia è il genio, mediocre per fatalità, del Martin Venator di Ernest Jünger, il quale sfugge al miserabile termitaio contemporaneo rifugiandosi nel bosco, ossia negli “esili spazi” rimasti a disposizione, luoghi della mente in cui la vita somiglia ancora a se stessa, per quanto nella dimensione dello spleen.

Il richiamo ai boschi e ai giardini non è casuale, perché nel monumentale – e per chi scrive anche un po’ pretenzioso – Melancholia von Trier indugia sulle lunghe carrellate su paesaggi naturali e giardini destinati a essere spazzati via dall’impatto con il pianeta che presta il nome al titolo del film. Justine, la sposa, che qui rovescia il senso di sacra ierogamia tra i sessi foriera di vita nel suo opposto, ovvero nel tetro ruolo di sposa della morte, in una sequenza compare nella posa pensosa del capolavoro di Albrecht Dürer, Melencolia I. La fine si avvicina dunque, alla faccia della fede cieca nel dio della scienza.

Fin dal Novecento, il cinema ha detto in ogni modo il sentimento della morte, la paura della fine, lo spaesamento e il nichilismo dei veri filosofi, che della scienza si sono fatti beffe perché la sapevano lunga. Perciò troviamo qui le cupe nebbie padane di uno dei registi più fraintesi e minimizzati, Fellini, e il monologo nicciano di Nostalghia del sommo Tarkovskij nonché ovviamente, tra gli altri, Il settimo sigillo di Bergman (quanti l’hanno visto come esercizio pedagogico capendoci nulla?). Insomma: il mondo non è bello come vorrebbero farci credere e chi ancora pensa con la sua testa non ci vive troppo bene, sembrano dirci gli autori tramite la voce visiva dei registi. Che altro dire? Così è se vi pare. E così è anche se non vi pare affatto. 

Claudia Gualdana



Una lanterna per le stanze vuote del cinema

Di Angelo De Sio

Intellettuale Dissidente (20 settembre 2017)

https://www.lintellettualedissidente.it/cinema/il-cinema-delle-stanze-vuote/


 

“Il cinema delle stanze vuote” di Cesarini e Iannone e la malinconia dei cineasti anticonformisti

Di Francesco Petrocelli

Barbadillo (7 ottobre 2017)

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