Le piace Proust? Con Isabella Cesarini alla ricerca della Sagan

Di  Emanuele Beluffi 28/10/2024

Il nuovo libro di Isabella CesariniLe piace Proust? (uscito per 96, rue de-La-Fontaine), è un’opera che intreccia la biografia immaginaria e il memoir, dando voce all’intensa vita della scrittrice francese Françoise Sagan. Riprendendo la struttura di un diario interiore e confidenziale, il romanzo è un affresco della Parigi del dopoguerra e della vivace scena culturale che Sagan ha frequentato, omaggiando, al contempo, le fonti letterarie che l’hanno ispirata. Attraverso l’immaginario intimo di Sagan, Cesarini offre uno sguardo ravvicinato su una delle figure più affascinanti della letteratura del XX secolo.

A partire dal titolo, Cesarini gioca con il parallelismo fra Sagan e Marcel Proust: il riferimento a Le piace Brahms? si trasforma qui in una domanda sull’autore che più ha influenzato il suo pensiero. Marcel Proust, l’artefice della Recherche, è infatti una figura chiave nella vita di Sagan, al punto che in vita rinunciò al cognome paterno Quoirez in favore di Sagan, riprendendo il nome della principessa che appare fugacemente nel capolavoro proustiano. Nella costruzione della memoria proustiana, Cesarini riscopre l’importanza di un vissuto di “corpo e carne”: un corpo segnato dal tempo ma desiderante, attraverso la scrittura.

Il basso continuo del memoir è la passione per la parola. E quella che, per mutuare un’espressione che anni e anni fa durante un ciclo di lezioni all’Università degli Studi di Milano incentrate sulle idee sensibili soprattutto in relazione a Marcel Proust e Maurice Merleau-Ponty, il prof. Mauro Carbone chiamava “idea sensibile” o “essenza carnale”. Lo possiamo riscontrare in questo passo di Cesarini/Sagan:

Ho sempre immaginato le donne capaci di scrivere come coloro che hanno esplorato intimamente la propria carne […]. Il piacere come la costruzione della frase bella sovrintende a quell’orgasmo che per un istante rende immortali”

Situata nel suo maniero in Normandia e consapevole dell’ineluttabilità della fine, Sagan ripercorre la sua vita fuori dagli schemi e i volti che l’hanno segnata, alternando i ricordi con riflessioni letterarie e sentimentali. Amici illustri come Jean-Paul Sartre e Bernard Frank, compagni di battaglia culturale come Florence Malraux e Jean Seberg, amori complessi e travagliati come quelli con Guy Schoeller, Peggy Roche e Ingrid Méchoulam si materializzano nelle pagine come tasselli di una vita vissuta con intensità, sospesa tra la passione e la ricerca continua del significato.

Con uno stile intimo ma volutamente costruito, Cesarini rende omaggio a un personaggio che è stato simbolo di un’estetica dell’eccesso, porremmo dire, magari dannunziana in senso lato: una “charmant petit monstre”, come la definivano, ma anche una donna e un’artista che ha il diritto di essere ricordata per il suo contributo letterario e, perché no, per quelli che coloro-che-ben-pensano di ieri e di oggi chiamano gli eccessi.

Isabella Cesarini riesce a costruire un’opera che fonde l’erudizione con la narrativa, e Le piace Proust? si impone come un omaggio intellettuale e poetico a una figura complessa. Dopo aver esplorato la figura di Clarice Lispector e analizzato anime inquiete e mitiche del cinema, l’autrice romana aggiunge un ulteriore tassello al suo percorso. La sua capacità di dare vita a personaggi in bilico tra realtà e finzione è chiara, così come l’intento di far riflettere il lettore sull’importanza della memoria e della scrittura come “ultima ragione di vita”, come dice la stessa Sagan.

Il libro, accompagnato da un contributo inedito di Pasquale Panella, offre una lettura coinvolgente e non si limita a essere una semplice biografia romanzata, ma si sviluppa come una vera e propria esplorazione emotiva e culturale. Le piace Proust? è un’opera destinata a chiunque desideri immergersi nella nostalgia e nei ricordi di un’epoca ormai passata, ma ancora vivissima nella mente e nella penna di una scrittrice che, come Sagan, non ha mai smesso di cercare l’infinito in ogni piccolo suono.

Arriva in libreria “Le piace Proust?”

«Quest’ora in cui il sole si fa timido e va a nascondersi dietro gli alberi di Breuil è l’ora in cui tutto si riavvolge, l’ora in cui, volgendo lo sguardo ai caffè di Boulevard Saint-Michel e a quei trentadue giorni occorsi per scrivere Bonjour tristesse, tutto si calma per congedarsi nel tempo che lascerò qui».

Ci siamo quasi: esce il 30 ottobre per 96, rue de-La-Fontaine Le piace Proust? il romanzo biografico, memoir immaginario di Françoise Sagan, che mutua il titolo dal suo quarto romanzo (Le piace Brahms?) e porta in sé il nome della sua più grande fonte d’ispirazione: Marcel Proust, figura tanto importante da indurla a rinunciare al cognome paterno, Quoirez, in favore di quello della principessa Sagan, uno dei personaggi più evanescenti della Recherche. Filo conduttore dell’opera è proprio la memoria, che ricollega costantemente l’autrice al suo maestro putativo e che si fa spesso carnale, sollecitata da un corpo disfatto che rammenta i sussulti della carne giovane: è la sua mano, ancora in grado di imbracciare una penna e «cadere bramosa davanti all’invasione delle parole», a donarle ancora una ragione per continuare a respirare.

A pochi mesi dalla morte e confinata nel suo maniero in Normandia, la scrittrice ripercorre dunque la propria vita sopra le righe – tanto spiata e dibattuta, con suo gran disappunto, forse più della sua opera – e crea un affresco della Francia del dopoguerra, ricordando una dopo l’altra le persone che per lei sono state importanti: gli amici, da Bernard Frank a Jean-Paul Sartre, da Florence Malraux a Jacques Chazote, da Juliette Gréco a Jean Seberg con la sua tragica storia; e poi gli amori, dai due matrimoni (il primo con Guy Schoeller e il secondo con Bob Westhoff) al grandissimo legame con Peggy Roche e a quello, molto discusso, con Ingrid Méchoulam. Infine, una commossa lettera d’addio al figlio Denis Westhoff diviene epitome di tutta l’opera e la personalità di questo charmant petit monstre: un’anima inquieta e gaudente, prolifica quanto eccessiva, che ha vissuto di scrittura e rumore e adesso, stanca di una vita che non può più godere appieno, rivendica i propri meriti letterari agli occhi dell’“ingrata” terra natia, prima di posare per l’ultima volta la penna.

Introduce il testo uno scritto inedito di Pasquale Panella.

Il giunco infuocato della Francia – Françoise Sagan

L’immagine by blacque_jacques è sotto licenza 
CC BY-NC-SA 2.0

 

«Avevo mai sentito la mancanza di qualcuno?»

Bonjour tristesse

Un versetto di corti capelli a incorniciare quel volto che coinvolge l’edonismo nell’aura tragica. L’audacia dentro il disincanto, lo stile agile a disegnare l’eleganza della scrittura. L’immagine seducente di una scrittrice troppo spesso legata al rotocalco. Lei è la creatura baciata dalla grazia della parola: Françoise Sagan (Cajarc, 21 giugno 1935 – Honfleur, 24 settembre 2004).

Penna precisa, priva di sbavature, raffinatezza di un inchiostro non disgiunto dalla vita. A soli diciotto anni, la Sagan, con un dono riservato a pochi, scrive un romanzo che, nelle pieghe minimali, si fa profezia di una tristezza certa. L’impossibilità nell’assenza di argini: l’afflizione è vita e l’esistenza vive nell’afflizione. La scrittrice maneggia con leggerezza una materia sulfurea, lo fa nel moto spensierato poiché è nelle trame di uno stato lieto che si cela il male di vivere. L’armonia nella disillusione si impianta in un rito di iniziazione della piccola sfera cinica: il fiore di una mente giovane che germoglia dalla senilità.

“Il giunco infuocato” della Francia crea dalla terza età della conoscenza dentro un carattere imminente di giovinezza. Ed è solo bellezza la schiuma di un edonismo che si disperde tra le onde personali di un romanzo, luogo dove la storia si fissa. Ed è nuovamente bellezza l’emanciparsi dai buoni sentimenti, sovente interpretati e raramente frequentati. E daccapo bellezza scovare, identificare e infine ammettere la nota meschina che suona le corde di ogni essere umano. Strappare quel pentagramma dall’individuo e renderlo sulla pagina come il più lucente dei racconti.

Alcuna scrittrice a innerbare il fuoco del rotocalco, molte donne a rinsanguare la morbosità della fotografia e quella degli schiccherafogli. Il bacio che la scrittura le pone sul dorso della mano, si fa gesto funesto nella presa del whisky e delle sostanze. Quello che sulla pagina è biancore, muta nell’oscurità che la raggiunge in ogni crepa della carne.

Attraverso stille di maestria stilistica, le pagine trafiggono il lettore: dardi che la Sagan porta a colatura del proprio cuore. Persuade nell’arte e nella dimenticanza quanto la creazione stessa sia spietata; il talento ingoia sempre i suoi demiurghi in gironi infernali di sbrancamenti. Dall’altra parte delle suggestioni, non è dato sapere se la letteratura salvi la scrittrice o la conduca direttamente nell’oblio della sua vita. In Bonjour tristesse – romanzo uscito nel marzo del 1954 e che nel 1956 ha già superato il milione di copie vendute – la Sagan nega il carattere autobiografico. Invero, la fattura letteraria appare poco ascrivibile a una diciottenne e, in tale verso di incredulità, risiede tutto il seme della scrittura. L’accuratezza è quella di una creatura sene, un essere che dentro un’infinità di vite contiene l’audacia di descrizioni che giungono nei luoghi più angusti dell’individuo. La sua penna è una fotografia avulsa dalla sgranatura, un bianco e nero dettagliato e nitido. Nella pagina il rendez-vous con un incastro: lo sguardo disincantato di colei che sa delle tare umane alla stessa stregua di chi ha già vissuto molto tempo e detiene il potere della conoscenza. Con la cipria rosa (rosa shocking avrebbe suggerito Carlo Bo), entra nel difetto strutturalmente umano, afferra la macchina di inchiostro e riprende ogni singolo moto dell’anima. I fotogrammi si allineano su un piano sequenza lungo quanto il benvenuto alla tristezza. Lo scritto diviene immagine e l’immagine rimanda dei fermi: volti e creato a sottolineare raccoglimenti.

La cipria di spensieratezza descrive una patina rosata a carpire le sagome marchiate dal godimento. L’esibizione della gioia è tutta dentro l’arte di rimandare l’ineluttabile: l’avvento della tristezza a capitanare le cose dietro il belletto. Il pensiero si allinea precisamente alla pagine e, in tale congiunzione, sgorga la filosofia delle cose.

La risata equivoca, il sesso, l’alcol: vessilli lucenti di solitudine. Isolamento che fuoriesce dal libro e si salda all’esistenza della scrittrice. Bonjour tristesse è la carta profetica di quelle lacune che, da giovani vuoti, si fanno vecchie voragini. La sospensione è nello stordimento carnale e alcolico, orgia di una vita dispersa, mai più ritrovata. E nel destino filmico del libro, voluto dal regista Otto Preminger, si incontra l’accadere di un’altra vita, quella dell’attrice Jean Seberg.

Icona della Nouvelle Vague, l’attrice muore suicida a soli quaranta anni. Nella Seberg il suicidio mostra un atto definitivo. Nella Sagan è la vita ad essere suicidale. Negli eccessi si cela una fine lenta, quella che ogni giorno brandisce un pezzetto di volto, una tessera di cuore e uno scampolo di mente. Due destini nel toccamento della tragedia.

Il mesto incantesimo della Sagan è vita e morte, ma in primo luogo è romanzo: la bellezza nel disincanto.

  • da Anime Inquiete