Il Malamore de Lo Spietato

Renato De Maria omaggia Enzo Carella

Lo spietato, uscito nelle sale cinematografiche per tre giorni, dall’8 al 10 aprile, ora disponibile sulla piattaforma Netflix, è un film del regista Renato De Maria, scritto insieme a Valentina Strada e Federico Gnesini, ispirato al romanzo Manager Calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzo, libro sulla vita del pentito Saverio Morabito.

Il regista costruisce una pellicola sul valore della memoria, quella cinematografica con il fine di omaggiare il genere poliziottesco anni ’70, capeggiato da Umberto Lenzi e Fernando di Leo, solo per fare due nomi. La narrazione della vita di un malvivente permette a De Maria di mostrare il cinema nel suo farsi storia, costruendo una gangster comedy che vorrebbe strizzare l’occhio a Quei bravi ragazzi. Qui il volere non è potere. Il volere è nel fare altro. 

L’altra memoria, quella intima del ricordo dei dimenticati, evocata dalle note di Malamore dell’obliato Enzo Carella su testo di Pasquale Panella. Parole di grazia e mesto erotismo a introdurre fotogrammi legati alla donna, alle donne. La cover, rispettosamente interpretata dal cantautore Riccardo Sinigallia, si guadagna anche un meritato videoclip sempre per la regia di De Maria. La memoria è dunque tutta dentro la visione rivoluzionaria di un certo cinema e di una musica certa.

È una pellicola sulle anime smarrite nel tempo e nella morsa di una malavita già scritta nei primi anni di vita. Riccardo Scamarcio indossa perfettamente l’abito e il volto del pentito Santo Russo. La nascita nella provincia calabrese, l’arrivo a Buccinasco nella prima adolescenza, il carcere di Beccaria per uscirne infine completamente pronto ad affrontare una Milano nel pieno dello sviluppo economico e pertanto anche dell’espansione criminale.

L’attore sembra vacillare, forse volutamente, sulla modulazione milanese per riprendersi del tutto nel dialetto calabrese. Veste il volto giusto con il disincanto e l’efferatezza nello sguardo. L’approccio è carnale, non solo nelle sequenze di sesso, ma durante tutto il film. La carnalità prende ogni gesto dell’interpretazione conferendo un’andatura sicura e all’altezza del ruolo.

Il film è il malamore di uno spietato che, nella mestizia di note dimenticate, diventa il fil rouge di tutta la pellicola. L’amore è “di colpo o di corruzione”, “di febbre o di consunzione”; l’amore è il malamore che ammanta una Milano infoschita dalla violenza propria di un determinato periodo storico. L’amore è il malamore che divide un uomo tra il moto certo di una moglie (Sara Serraiocco) e il turbamento improvviso di un’amante francese (Marie-Ange Casta), ma ça va sans dire: una moglie sa quello che un’amante crede di sapere.

Il film è altresì un omaggio ai costumi del tempo, dalle automobili all’abbigliamento, una finestra che si affaccia sul dettaglio preciso della ricostruzione minuziosa. Il ritmo segue i tempi della narrazione, la velocità di un’ascesa nel mondo della malavita e le ore calme della caduta. Il verso accade all’interno dell’essere umano, il disfacimento spirituale collima perfettamente con quello ambientale.

La sapienza attoriale abbraccia tutti i protagonisti, creature trafitte da una macchina da presa che sa muoversi nelle pieghe dei volti attoriali di Alessandro Tedeschi, Alessio Praticò, Ignazio Oliva e tutti gli altri.

Da vedere e ascoltare.   

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