
La vraie actrice de la famille
Catherine Deneuve
Un ridondante diluvio di lunghi capelli a farsi contorno di un volto destinato al fermo immagine. Il piglio nel palpebrare, lo sguardo in rilievo sul tratto di un eyeliner nero. La scesa sullo schizzo di una piccola piramide alla francese e giù, sino a un cuore di labbra disposto all’appeal. La sagoma è quella di un acero rosso, gentilmente sottile, che svetta su passerelle di bellezza. Grazia sigillata dallo stilista di Granville, Christian Dior.
Françoise Dorléac (Parigi, 21 marzo 1942 – Villeneuve-Loubet, 26 giugno 1967) è attrice ancor prima che mannequin. Accanto a Gaby Morlay, germoglia sul tavolato di un palcoscenico a soli dieci anni. È figlia dell’arte la Dorléac, la stessa alla quale si vota poiché è il solo portamento per stare al mondo. Indisciplinata e ribelle, allontanata dal liceo si iscrive al Conservatoire national supérieur d’art dramatique di Parigi.
Dotata di tutta l’immediatezza di una contrada incontaminata, la sua bellezza descrive un luogo disabitato e, come tale, pronto a collegarsi al moto di altri territori. Fresca e indomita con poche, ma considerevoli pellicole girate, diviene il riconoscimento del ricercato incanto parigino. Incantesimo che ammanta la città e l’attrice per soli venticinque anni.
Sorella di Catherine Deneuve, la Dorléac perde la vita in un incidente stradale sulla panoramica Esterel, tra Tolone e Cannes. La destinazione, mai raggiunta, è l’aeroporto di Nizza per volare a Londra e assistere alla proiezione del film Les Demoiselles de Rochefort, diretto da Jacques Demi e interpretato insieme alla sorella.
Destino amaro, comune a molte celebrità che, in pochi anni di carriera, riescono a donare la scia luminosa della loro stella attoriale nel firmamento del cinema.
Le circostanze della morte richiamano un’altra diva: Dorothi Dell. Interprete e cantante statunitense degli anni ’30, bella e biondissima, muore all’apice della sua carriera cinematografica. Resta nella lucina rossa della macchina da presa con una dichiarazione in ceralacca:
Diventerò una vera attrice. Non solo un’attrice in più, ma un’attrice vera, onesta e brava come Marie Dressler.
La Dell muore in un incidente d’auto dopo una festa ad Altadena, sulla strada per Pasadena. Aveva diciannove anni.
Françoise Dorléac, dopo aver recitato accanto a Jean-Paul Belmondo ne L’uomo di Rio, guadagna velocemente notorietà, anche sotto lo sguardo intimo di uno dei protagonisti della Nouvelle Vague, il regista francese François Truffaut. Unitamente nella pellicola La peau douce (La calda amante), l’attrice e il regista, oltre a lavorare insieme, intrattengono una breve relazione sentimentale. Un fatto curioso se si pensa che all’epoca il regista era sposato, esattamente come il protagonista del film e, parte della pellicola, viene girata all’interno dell’appartamento di Truffaut.
Il reale e il cinematografico si confondono per farsi pavimento di un instancabile iperrealismo. Prima di un amore sul solco in bianco e nero della nuova onda francese, l’attrice vive una passione giovanile con l’attore Jean-Pierre Cassel, conosciuto all’Epi Club di Montparnasse, quartiere che la Dorléac indossa scioltamente, proprio per il richiamo al monte Parnaso, la sede delle muse. Questa splendente Afrodite parigina si impone con La peau douce come una divinità che affresca la cinematografia francese in modo sapiente e delicato. Il film di Truffaut sussurra il richiamo alla metafora, una sorta di surreale testamento del rapporto dell’attrice con la vita. La trama del film è semplice: la Dorléac interpreta l’hostess Nicole, la giovane amante di Pierre Lachenay, competente conoscitore di Balzac e direttore della rivista letteraria Ratures. L’uomo è sposato con una donna particolarmente seducente: Franca.
Le mani, in apertura di pellicola, rappresentano l’allusivo emblema della pelle e dello sfioramento come l’epifania della delicatezza portata in trionfo da Nicole. Il ruolo dell’amante è totalmente capovolto, smarrisce le proprietà peculiari della seduzione erotica per destinarsi a una creatura lene e tenera. Nicole descrive una fanciulla alla ricerca di protezione. Al contempo è una donna contemporanea, figlia degli anni ’60, vive un amore nella consapevolezza della fine di ogni sentimento. In un riposto paradosso, la moglie Franca, interpretata da Nelly Benedetti, incarna il ruolo più conforme alla hostess. Una femme impulsiva, sensuale, passionale.
Il montaggio del film, soprattutto in alcune sequenze, è segnatamente serrato, proprio a evidenziare il passaggio ineluttabile del tempo. Una temporalità che pedina soprattutto l’uomo. Un individuo medio, indifferente, apparentemente distante dalle passioni, si lascia condurre da una brama che lui stesso non riconosce.
La macchina da presa è messaggera del volto e dell’animo di Nicole.
Françoise Dorléac disegna l’amara allegoria del piccolo e discreto spazio che la figura dell’amante occupa nell’esistenza. Come il ruolo che interpreta ne La peau douce, nella freschezza di Nicole, la Dorléac è l’amante della vita. Occupa un esiguo spazio temporale, lo vive appieno per poi ritirarsi in silenzio in un altrove di giovani celebrità. È la giovinezza di Parigi, l’amante vivace e moderna della vita corrisposta per soli venticinque anni. Amata sino all’ossessione per giungere nel tragico finale di una dissolvenza nera.
Ma l’acme della passione è nel ventre proibito dell’amante: il tempo di cuore, liberato dalla responsabilità del vincolo e lesto al richiamo del sentimento.
La Dorléac e la vita sono l’amata e l’amante di una liaison dolorosa poiché breve e intensa. Il segno indelebile è sulla città e l’esistenza.
Il cinema piange e applaude.
- Da Anime Inquiete